La scenografia dal neoclassicismo all'ottocento
Nei primi anni del Settecento, la scenografia è ancora dominata dall'impianto prospettico barocco, ma in questo stesso periodo il sistema degli assi visivi si complica e si arricchisce di nuove possibilità espressive.
Si realizza una nuova forma, apparentemente irregolare, in cui, rinunciando all'asse unico centrale, si moltiplicano i punti di fuga.
Questa nuova forma in realtà è controllata tecnicamente ancora una volta dall'applicazione rigorosa delle regole prospettiche.
La veduta per angolo e la prospettiva a fuochi multipli sono le due formule in cui si riassume l'ottica scenica del Settecento, identificata con il lavoro della famiglia di scenografi ed architetti dei
Galli da Bibiena.
La nuova macchina prospettica usa comunque lo spazio del palcoscenico in termini diversi rispetto al Seicento: divide la profondità del palco in due parti progettando a misura d'uomo gli elementi del proscenio e del primo settore e utilizza per l'immagine prospettica il restante spazio.
Si conferma quindi ancora lo scollamento fra i due protagonisti assoluti dello spettacolo, l'attore-cantante e la scenografia: distacco inevitabile e dichiarato.
Il cantante conduce l'azione del dramma nel e dal proscenio; la scena, costruita sullo sfondo, è conclusa in se stessa e vive una propria realtà figurativa.
Muta a vista nel corso dello svolgimento dello spettacolo e rimane una grande macchina ottica la cui finalità visiva non ha un vero e proprio rapporto con l'azione ma offre pretesti a invenzioni più o meno complesse, originali e tese soltanto a catturare l'attenzione dello spettatore.
Questo secolo vede anche la nascita di un nuovo genere che divenne molto popolare in poco tempo: l'
opera buffa, genere che utilizzava molto le scene domestiche e gli ambienti rustici.
La stagione dell'
illuminismo e della monarchia illuminata comporterà un mutamento nei costumi e nelle attitudini sociali.
Si ricercherà nelle rappresentazioni sceniche uno stile la cui bellezza nascesse dalla finezza della sobrietà più che dal tripudio delle decorazioni, più dalla soddisfazione intellettuale offerta dalla trama e dalle liriche che non dall'appagamento dell'occhio.
Gli effetti meravigliosi e stupefacenti del teatro barocco vennero aspramente criticati come causa della decadenza dei contenuti morali e sociali delle opere rappresentate: da qui la necessità di
realismo e correttezza dell'ambientazione storica e geografica del soggetto rappresentato, in consonanza con le nuove teorie estetiche di
Johann Joachim Winckelmann (1717-1786).
La formula teatrale iniziò a cercare nei nuovi ideali della ragione la sua nuova modernità.
L'esigenza di scenografie che descrivano in maniera veritiera le ambientazioni e i luoghi, il ritorno del fascino dell'antico anche se in forma di rovina, l'equilibrio compositivo e luministico sono solo alcuni dei temi di ricerca della nuova messa in scena neoclassica.
Quindi le messinscene accentuarono la ricerca verso l'imitazione più realistica possibile della natura e della vita quotidiana con il richiamo ad un'estetica più essenziale.
Venne conseguentemente stigmatizzata la pratica delle grandi variazioni sceniche quindi si dismisero anche i grandi macchinari per il moto scenico in auge nel secolo precedente e si puntò la ricerca scenotecnica e scenografica su altri aspetti.
Così il teatro dei carri volanti, delle glorie immerse nelle nuvole terminò la propria parabola insieme alle macchine progettate all'uopo.
Si pose inoltre al centro della riflessione, ancora oggi in corso, sulla
libertà espressiva della scenografia rispetto al testo analizzato in chiave interpretativa e critica, piuttosto che descrittiva. Cioè il tema del rapporto tra testo, ambientazione storica, evocazione stilistica e libera astrazione.
Un'altra innovazione teatrale del periodo neoclassico si verifica sul piano del
colore e dell'
illuminazione, attraverso l'abolizione delle abbaglianti file di lumi lungo il proscenio, a favore di un'illuminazione di tipo tonale, di intensità diversificata a seconda delle varie parti della scena e in grado di dosare sapientemente zone di luce e di ombra.
La vera rivoluzione della luce avvenne con l'introduzione dell'
illuminazione a gas, dal 1822 presente all'Opera di Parigi dal 1850 presente in tutti i teatri d'Europa.
Ma una delle differenze principali fra le due forme di illuminazione constava nella capacità della lampada a gas di erogare luce ad intensità regolabile, costante e soprattutto a
fiamma ferma.
Le scenografie concepite quindi come dipinti su superfici piane, poste dinnanzi alla lampada a gas risultarono squallidamente piatte, poiché la luce ondulante delle candele e delle lampade era in grado di creare coni d'ombra mutevoli sulle superfici sceniche invece la luce a gas, essendo fissa metteva in maggior risalto le pieghe dei telai che non il disegno al disopra.
Il gusto scenico mutò quindi verso una
scenografia plastica, di camera, tridimensionale con la presenza in scena di oggetti veri e di uso comune.