Evoluzione dello spazio scenico

a cura di MARCELLO MAJANI




Scenografia e rappresentazione dello spazio

Scenografia, parola di derivazione greca, che sta ad indicare tutti quegli accorgimenti destinati a dare l'illusione dell'ambiente nel quale si svolge l'azione drammatica.
L'evoluzione della scenografia teatrale è da sempre strettamente legata al problema della rappresentazione dello spazio poiché, al pari della pittura, si prefigge di ricreare l'immagine di uno spazio architettonico dotato di tre dimensioni, e dunque di profondità.
Tuttavia, fin dai tempi più antichi, la volontà di rendere credibili le rappresentazioni visive, in particolare quelle pittoriche, si è scontrata con la difficile trasposizione grafica della tridimensionalità del mondo esterno sulla bidimensionalità del supporto materico di quelle immagini.
Quindi nel corso dei secoli, le intuizioni spontanee e le conoscenze geometriche relative ai metodi di rappresentazione hanno trovato nella scenografia un campo di immediata applicazione e sperimentazione.


Ricostruzione della scena del teatro di Dioniso in Atene

Ipotesi di posizionamento dei periaktoi sul proscenio

Ricostruzione morfologica dei periaktoi

La scena del teatro greco

La tipologia più diffusa del teatro greco consta generalmente di un palcoscenico rettangolare sul cui fondo si erige una parete ricca di elementi architettonici, generalmente di pietra, che fungeva da diaframma tra lo spazio drammaturgico dell'azione e il retroscena, che doveva restare invisibile agli spettatori.
Il palcoscenico era collocato in età più antica sullo stesso piano dell'orchestra poi, probabilmente dopo il 200 a. C., rialzato rispetto al livello dell'orchestra.
La scena, ricca e imponente, era fornita di numerosi portali d'accesso che, a seconda della loro imponenza architettonica e ricchezza decorativa, differenziavano l'ingresso in scena del personaggio principale rispetto a quelli minori.

Nell'antica Grecia, sebbene la maggior parte delle testimonianze pittoriche siano andate perdute, nei dipinti vascolari possiamo osservare come l'allusione alla profondità dello spazio venisse realizzata mediante rudimentali scorci, oppure con lo scaglionamento di numerosi piani, sia verticali sia orizzontali;
analogo espediente illusorio fu usato anche nelle scene teatrali, per le quali Agatarco di Samo (440 a.C.), scenografo delle opere di Eschilo e Sofocle, fu il precursore.

Nelle campate di alcuni portali della scena potevano trovarsi quindi questi fondalini dipinti con immagini pseudo-prospettiche, volte a sfondare la superficie del supporto e ad animarla con piani scaglionati secondo profondità diverse.
Immagini venivano disposte anche sulle facce dei cosidetti periaktoi, quinte girevoli di forma prismatica che permettevano veloci cambiamenti di scena;
la forma prismatica a base triangolare consentiva infatti di mostrare al pubblico nella cavea solo la faccia posta frontalmente, rendendo praticamente invisibile la decorazione pittorica delle restanti due, a causa del violento scorcio prospettico.
Per quanto concerne il loro utilizzo le teorie sono contrastanti, poiché vi è chi sostiene che non servissero per mutare la localizzazione della scena all'interno della rappresentazione ma che avessero come scopo quello di indicare quale genere fosse in corso di rappresentazione: non a caso difatti sono triedrici, mostrando quindi tanti lati quanti sono i generi letterari teatrali del mondo antico: Tragedia, Commedia e Satira.
Non è possibile stabilire le dimensioni reali dei periaktoi e nemmeno quale fosse il meccanismo utilizzato per ruotarli.

Da Giulio Polluce, grammatico di origine egiziana del II secolo d.C., otteniamo informazioni anche sull'utilizzo di altre tipologie di macchinari utilizzati sul palco quali macchine per i voli, utilizzate soprattutto per l'apparizione delle divinità sulla scena, piattaforme su ruote con movimento di andata e ritorno o con movimento rotatorio, botole aperte sul piano del palcoscenico per l'entrata o l'uscita di altri apparati da sotto il palco nonché l'utilizzo dei macchinari progettati per riprodurre dei rumori naturali, come ad esempio la macchina per simulare per il tuono.
Per ciò che concerne i macchinari utilizzati per l'ingresso delle divinità in scena vale la pena citare l'espressione Deus ex machina, la quale è una frase latina a sua volta mutuata dal greco: "il dio che viene dalla macchina".
Era definita mechàne (elevatore) la piattaforma di legno, mossa da funi tramite argani e carrucole che faceva calare in scena dall'alto la figura della divinità; di questo espediente scenotecnico dovette servirsene abbondantemente Euripide, nei cui testi sono ricorrenti le apparizioni di Dei.


Modello di teatro romano con la sua imponente scena architettonica

La scena del teatro romano

La disposizione della scena nel teatro romano non si discosta di molto rispetto agli esempi dei predecessori greci, se non per un fasto ancora maggiore attribuito alle scenografie di pietra, generalmente a tre piani, secondo la tipologia architettonica in uso degli ordini sovrapposti.

Nonostante i progressi nel campo della rappresentazione pittorica dovute alle interessanti intuizioni di poeti e pittori sull'apparente convergenza verso un punto delle rette parallele orizzontali osservate lungo facciate di edifici e colonnati, in campo teatrale non viene apportata alcuna nuova intuizione o progresso ai fini dell'evoluzione della moderna scenografia.



Carro mobile medievale per rappresentazioni itineranti

La scenografia nel Medioevo

Il teatro medievale non possedeva edifici stabili e dunque rimase legato al concetto di "festa", da allestire solo occasionalmente.
Le prime scenografie del tempo non erano altro che una porzione di spazio ritagliata da quello reale della piazza mediante la costruzione di un palco e l'apposizione di un fondale sommariamente dipinto.

La non chiara conoscenza dello spazio come entità astratta e omogenea, così come la mancanza di un metodo coerente per la sua rappresentazione, furono i principali motivi per i quali, in epoca medievale, non esisteva il concetto di "spazio scenico" ma piuttosto quello di "spazio plastico reale", nel quale l'attenzione era incentrata sulla sistemazione degli arredi e degli oggetti utili alla drammaturgia.
Il fondale dipinto, situato al di là di quegli oggetti, costituiva solo un riferimento ai "luoghi deputati" all'azione, una sorta di ambientazione non partecipe in termini di relazioni spaziali con i pochi elementi di arredo antistanti, necessari a qualificare il luogo.
Sul palcoscenico erano già allestite tutte le ambientazioni, in ciascuna delle quali sarebbe stato rappresentato un preciso brano del testo, e al pubblico veniva chiesto lo sforzo di isolare l'attenzione sulla sola parte di scena in cui si svolgeva quella determinata azione.

Per quanto riguarda il teatro drammatico, che veniva per lo più rappresentato nelle chiese, con soggetti esclusivamente a sfondo religioso, gli attori usavano illuminare, ove possibile, il solo luogo deputato dell'azione, facilitando così lo sforzo immaginativo del pubblico, non più distratto dagli altri scorci lasciati in penombra.



Costruzione prospettica rinascimentale con "taglio" dei raggi visuali

Il boccascena nel teatro all'italiana

Spazio prospettico illusorio con quinte laterali, cielini e fondali


Cambio di scena in un allestimento di Stefano Landi (1634)

La scenografia rinascimentale e barocca

La prospettiva e la nascita della scenografia moderna.

Quando nel Rinascimento, ad opera di alcuni artisti-scienziati quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e lo stesso Leonardo, venne codificata in maniera scientifica la cosiddetta perspectiva artificialis, in campo scenico ritroviamo, attraverso alcuni significativi esempi, i momenti della svolta verso la nuova concezione dello spazio.

Si stabilì in quegli anni un immediato rapporto tra scenografia e architettura che per alcuni secoli fece coincidere i due termini, fra contaminazioni e interpolazioni, in un binomio unico per lo spazio della rappresentazione.
L'applicazione del metodo prospettico alla scena teatrale condusse all'abbandono dell'allestimento multiplo medioevale e all'unificazione del quadro scenico; in secondo luogo, la scoperta delle capacità illusorie della prospettiva offrì la possibilità di rappresentare una voluta profondità in uno spazio minore, o addirittura su fondali piani, creando una netta separazione tra l'ambiente reale della sala, dove siedono gli spettatori, e quello illusionistico della scena, dove gli attori devono agire in modo da non svelare la presenza di leggi spaziali e rapporti dimensionali truccati.
Viene così a determinarsi, per la prima volta, la dualità spaziale caratteristica dell'edificio teatrale italiano, in cui il palcoscenico è separato dal pubblico attraverso una parete-diaframma, chiamata boccascena, che incornicia l'immagine illusionistica di quello spazio.
Tutt'oggi, sebbene non venga più utilizzata come norma la prospettiva centrale, la progettazione delle scenografie risente comunque di tale retaggio del passato.

Dall'inizio del XVI secolo si diffuse la pratica degli spettacoli con palcoscenici dedicati realizzati all'interno delle residenze signorili delle diverse città italiane ed un buon scenografo, e di conseguenza anche scenotecnico, poteva essere motivo di grande prestigio per il signore di una corte.
Il sistema della scena fissa, scelto dal Palladio per il Teatro Olimpico di Vicenza, fu subito dismessa in favore di un palcoscenico tendenzialmente vuoto al fine di poterlo meglio adattare all'utilizzo di ogni tipo di scenografia e di macchine scenografiche.
Per il cambio rapido di scena prese infatti grande voga la quinta su telaio detta armata, costituita da un fondale inchiodato ad un'intelaiatura lignea inserito in scena dal lato o calato dal soffitto; oppure interamente in tela con due strisce di legno in testa ed al piede esclusivamente calante dall'alto.

In seguito, nella pratica costruttiva dei palcoscenici era d'abitudine la disposizione a scalare delle quinte; le quali, al fine di accentuare la capacità prospettica di un palco di profondità limitata, erano disposte sempre più vicine fra loro con il crescere della distanza che le separava dal boccascena.
Quindi lo spazio praticabile nella zona del palcoscenico più remota era nettamente inferiore rispetto a quello del boccascena, quasi il 50% in meno, e le quinte angolari, rappresentanti di solito palazzi cittadini o file di alberi, nel procedere verso il fondale diminuivano di altezza. Questo espediente era necessario per poter accentuare l'effetto prospettico ma qualora vi si fosse posto vicino un attore in carne ed ossa il gioco della prospettiva sarebbe caduto immediatamente.

Tuttavia, la sproporzione ingannevole della scenografia, non era un problema per gli attori, i quali recitavano solamente a ridosso del boccascena per motivi di visibilità e di illuminazione, anzi, la disparità di dimensioni fra gli apparati scenografici prossimi al fondale e le figure umane in carne ed ossa venne tramutato in un punto di forza dagli scenografi e scenotecnici dell'epoca per una maggiore resa d'effetto nell'entrata in scena delle glorie celesti e dei trionfi, nei quali, essendo le figure umane di molto sproporzionate rispetto alla realtà scenica circostante, parevano essere realmente delle entità soprannaturali dalle dimensioni grandiose.

Nelle corti il ruolo di scenografo, o di architetto teatrale era affidato a chi già si occupava di mansioni simili presso la corte, quali appunto l'ingegnere militare, l'architetto militare, il pittore o l'architetto civile.
A partire dal XVI secolo vengono a sovrapporsi le mansioni dello scenografo, dello scenotecnico e dell'architetto teatrale.



Teatro Olimpico: sezione longitudinale sulla quinta in prospettiva solida accelerata

Teatro Olimpico: la scena architettonica fissa di derivazione romana (scaena frons)

Architettura e scenografia del XVI secolo

Teatro Olimpico di Vicenza

Un significativo esempio del nascente sviluppo del teatro rinascimentale e della scenografia è testimoniato dal Teatro Olimpico di Vicenza di Andrea Palladio, con le prime scenografie costruite in prospettiva solida da Baldassarre Peruzzi.

Per prospettiva solida accelerata si intende quella costruzione geometrica che, imponendo studiate deformazioni agli elementi plastici della scena, permette di simulare illusoriamente profondità molto maggiori di quelle realmente disponibili lungo il piano del palco.
Le sette prospettive solide accelerate sono costituite da scene fisse e immutabili che servirono per la prima rappresentazione dell'Edipo re e raffigurano le vie di Tebe.

Le tre principali si dipartono dalla porta regia (varco centrale del fronte scena), due dagli hospitalia (archi laterali) e altre due dalle porte delle versure. La via regia, pavimentata in legno come tutte le altre, si sviluppa in una profondità reale di 12 m., ma la sua apparente estensione viene notevolmente accresciuta dagli artifici adottati dallo Scamozzi: la finta strada infatti è soggetta a una forte accelerazione prospettica nei due lati in fuga dovuta al restringimento verso il fondo della sezione trasversale; il ripido pavimento presenta una pendenza del 20% e le rette di colmo dei vari edifici che la fiancheggiano tendono a un punto di comune convergenza.

Avendo funzione assolutamente illusoria, le vie dello Scamozzi non devono essere percorse dagli attori che, paragonati alla dimensione reale delle scene, apparirebbero giganteschi, denunciando così la finzione spaziale in atto.



Sebastiano Serlio: scena tragica, comica, satirica

Sebastiano Serlio

Il primo trattato sulla costruzione delle scene, pubblicato nel 1545 dall'architetto Sebastiano Serlio, dà inizio a una lunga tradizione di trattatistica sulla scenografia teatrale, che tuttavia si riallaccia ancora ad autori del passato quali Vitruvio ed Euclide.

Va riconosciuto al Serlio il merito di aver intuito per primo che il punto di fuga F delle rette ortogonali al fronte del palco non coincide con il punto principale P della prospettiva dipinta sul fondale, ma si trova oltre il piano stesso, verso il quale quelle rette convergono con il metodo del "traguardare". Il trattato del Serlio descrive poi i tre tipi essenziali di scene che, seguendo la tradizione vitruviana, sono la tragica, la comica e la satirica.
La solennità dell'evento narrato nella scena tragica è simboleggiata dagli edifici nobiliari in perfetto stile rinascimentale mentre nella seconda scena, invece, compaiono case popolari di stampo tardo-medievale; di ambiente silvestre la scena satirica.
A partire da questo autore un numero sempre crescente di trattatisti comincia a dedicare intere parti della propria opera alla scenografia teatrale, e al modo di adattarvi le leggi prospettiche.

Le principali caratteristiche del successivo teatro barocco sono la creazione di "atmosfere suggestive", mediante l'ausilio di effetti ottici e sonori volti a un godimento dello spettacolo di natura prevalentemente sensuale e la spettacolarità, ossessivamente ricercata. La necessità di stupefacenti e frequenti mutamenti di scena stimolò la fantasia degli scenografi barocchi verso la ricerca di nuovi meccanismi per facilitare la rapidità delle sostituzioni.
Mutevoli paesaggi marini, nuvole cupe improvvisamente incombenti dall'alto, scorci di strade cittadine, caverne e rocce possenti sono solo alcuni degli elementi sui quali il teatro barocco basava la sua spettacolarità.



Ristampa del celebre trattato di Sabbatini e disegno di macchina scenica

Nicola Sabbatini

Del pesarese Nicola Sabbatini, personaggio a cavallo fra la fine del manierismo ed il barocco, ci rimane il trattato: Pratica di fabbricar scene e macchine nei teatri pubblicato nel 1638 e nel quale tratta di ogni elemento necessario alla scenografia del suo tempo, dalle regole per la creazione di una prospettiva su di un fondale, all'inclinazione da dare alle gradinate della platea o del palco, dall'illuminotecnica alla scenotecnica vera e propria, ossia alla modalità di progettazione di macchinari per i vari scopi. Insieme a Sebastiano Serlio è ritenuto uno dei creatori dell'illuminazione artificiale dei teatri.

A lui si attribuisce la prima invenzione di un riflettore, ossia di un'attrezzatura in grado di illuminare il palco attraverso una superficie riflettente, il che può offrire una capacità di modulazione del fascio luminoso molto maggiore rispetto alla luce diretta.
Pare che abbia collocato un catino lucidato dietro ad una lampada, riuscendo a direzionare il fascio di luce in una precisa zona del palco. Esperimenti di questo genere erano nello spirito del tempo, quando si avvertì la necessità di una maggiore suggestione spettacolare e poter colorare, graduare e direzionare la luce era un passo fondamentale.
Sempre a Sabbatini si attribuisce l'introduzione del cambio di illuminazione coordinato con il copione, fu inoltre il primo ad utilizzare le lanterne magiche per proiettare le immagini sul palcoscenico e a creare degli strumenti per effetti acustici, come la "scatola del tuono", un macchinario che consisteva in pesanti sfere di ferro (attorno ai 15 chilogrammi) o di pietra, le quali venivano fatte rotolare al disopra di scale di legno quando l'effetto era richiesto dal copione.



Bozzetto scenografico di Giacomo Torelli

Sistema di scorrimento delle quinte

Giacomo Torelli

Proprio in quegli anni la progettazione degli edifici teatrali ebbe il suo massimo sviluppo, arrivando a un modello largamente accettato da tutte le nazioni: la pianta a ferro di cavallo, l'area riservata agli orchestrali, la ricchezza del boccascena e l'estensione del palco condizionata dalla presenza dei nuovi macchinari.

Per rendere possibili tali spettacolarità fu necessario abbandonare la disposizione a casamenti della scenografia rinascimentale, formata da ingombranti elementi volumetrici, per adottare soluzioni progettuali più agili quali ad esempio i pannelli a telaio, assolutamente piatti, in posizione frontale rispetto agli osservatori, e ripetuti in serie uno dietro l'altro. Il soggetto viene dunque scomposto in una serie di immagini pittoriche disposte per lo più parallelamente al boccascena: la scenografia barocca dunque non costruisce più lo spazio ma lo raffigura dipinto al fine di rendere più agevole l'illusione di paesaggi fantastici.

E' possibile cogliere il passaggio dalla scena costruita rinascimentale a quella dipinta nelle scenografie del fanese Giacomo Torelli (1608-1678) soprannominato "il grande mago", nella quali la visionarietà barocca diventa la protagonista dell'immagine e dello spazio della scena. Giacomo Torelli perfezionò l'uso delle quinte forate e contornate con rinforzi in legno sottile o tela che consentivano eccezionale rapidità dei cambi di scena; portò al massimo punto di espressione anche la tecnica del punto di fuga centrale e della prospettiva infinita. Torelli si dedicò anche alla progettazione delle macchine teatrali necessarie per esprimere le innovazioni da lui introdotte, in grado di trasformare le scene sotto lo sguardo sbalordito degli spettatori. Questo accorgimento di "mutazione a vista", elimindo di fatto le lunghe pause necessarie cambi di scena, andava inoltre a vantaggio della fuidità della narrazione.



Andrea Pozzo: individuazione del punto di vista privilegiato della scena (V)

Andrea Pozzo

Il gesuita Andrea Pozzo, nel suo trattato Perspectiva pictorum et architectorum (1693), propone chiare regole prospettiche per la costruzione delle scene.
Il problema geometrico, affrontato chiaramente per la prima volta, consiste nell'individuare nella sala il punto di visione privilegiato, centro della proiezione che regola lo spazio prospettico della scena (indicato nel testo originale con la lettera F).
Prolungati i fianchi del palco, i relativi allineamenti risulteranno convergenti verso un unico punto (punto di fuga della scena in prospettiva solida), la cui distanza, ribaltata dal lato del pubblico, individuerà il punto di vista cercato (V).
Dai disegni dello stesso autore, il centro di vista così definito cade in una zona inaccessibile agli spettatori, così da non privilegiare alcuna specifica posizione in sala. Sebbene con alcune non sostanziali modifiche, il sistema proiettivo definito da Andrea Pozzo, ancora oggi rappresenta la base della moderna prospettiva solida teatrale.



Scena d'angolo di Ferdinando Galli da Bibiena

Esempio di scenografia con elementi plastici praticabili tridimensionali

Esempio di scenografia "di camera" con arredi e suppellettili di uso comune

La scenografia dal neoclassicismo all'ottocento

Nei primi anni del Settecento, la scenografia è ancora dominata dall'impianto prospettico barocco, ma in questo stesso periodo il sistema degli assi visivi si complica e si arricchisce di nuove possibilità espressive.
Si realizza una nuova forma, apparentemente irregolare, in cui, rinunciando all'asse unico centrale, si moltiplicano i punti di fuga.
Questa nuova forma in realtà è controllata tecnicamente ancora una volta dall'applicazione rigorosa delle regole prospettiche.
La veduta per angolo e la prospettiva a fuochi multipli sono le due formule in cui si riassume l'ottica scenica del Settecento, identificata con il lavoro della famiglia di scenografi ed architetti dei Galli da Bibiena.

La nuova macchina prospettica usa comunque lo spazio del palcoscenico in termini diversi rispetto al Seicento: divide la profondità del palco in due parti progettando a misura d'uomo gli elementi del proscenio e del primo settore e utilizza per l'immagine prospettica il restante spazio.
Si conferma quindi ancora lo scollamento fra i due protagonisti assoluti dello spettacolo, l'attore-cantante e la scenografia: distacco inevitabile e dichiarato.
Il cantante conduce l'azione del dramma nel e dal proscenio; la scena, costruita sullo sfondo, è conclusa in se stessa e vive una propria realtà figurativa.
Muta a vista nel corso dello svolgimento dello spettacolo e rimane una grande macchina ottica la cui finalità visiva non ha un vero e proprio rapporto con l'azione ma offre pretesti a invenzioni più o meno complesse, originali e tese soltanto a catturare l'attenzione dello spettatore.
Questo secolo vede anche la nascita di un nuovo genere che divenne molto popolare in poco tempo: l'opera buffa, genere che utilizzava molto le scene domestiche e gli ambienti rustici.

La stagione dell'illuminismo e della monarchia illuminata comporterà un mutamento nei costumi e nelle attitudini sociali.
Si ricercherà nelle rappresentazioni sceniche uno stile la cui bellezza nascesse dalla finezza della sobrietà più che dal tripudio delle decorazioni, più dalla soddisfazione intellettuale offerta dalla trama e dalle liriche che non dall'appagamento dell'occhio.
Gli effetti meravigliosi e stupefacenti del teatro barocco vennero aspramente criticati come causa della decadenza dei contenuti morali e sociali delle opere rappresentate: da qui la necessità di realismo e correttezza dell'ambientazione storica e geografica del soggetto rappresentato, in consonanza con le nuove teorie estetiche di Johann Joachim Winckelmann (1717-1786).

La formula teatrale iniziò a cercare nei nuovi ideali della ragione la sua nuova modernità.
L'esigenza di scenografie che descrivano in maniera veritiera le ambientazioni e i luoghi, il ritorno del fascino dell'antico anche se in forma di rovina, l'equilibrio compositivo e luministico sono solo alcuni dei temi di ricerca della nuova messa in scena neoclassica.
Quindi le messinscene accentuarono la ricerca verso l'imitazione più realistica possibile della natura e della vita quotidiana con il richiamo ad un'estetica più essenziale.
Venne conseguentemente stigmatizzata la pratica delle grandi variazioni sceniche quindi si dismisero anche i grandi macchinari per il moto scenico in auge nel secolo precedente e si puntò la ricerca scenotecnica e scenografica su altri aspetti.
Così il teatro dei carri volanti, delle glorie immerse nelle nuvole terminò la propria parabola insieme alle macchine progettate all'uopo.

Si pose inoltre al centro della riflessione, ancora oggi in corso, sulla libertà espressiva della scenografia rispetto al testo analizzato in chiave interpretativa e critica, piuttosto che descrittiva. Cioè il tema del rapporto tra testo, ambientazione storica, evocazione stilistica e libera astrazione.

Un'altra innovazione teatrale del periodo neoclassico si verifica sul piano del colore e dell'illuminazione, attraverso l'abolizione delle abbaglianti file di lumi lungo il proscenio, a favore di un'illuminazione di tipo tonale, di intensità diversificata a seconda delle varie parti della scena e in grado di dosare sapientemente zone di luce e di ombra.
La vera rivoluzione della luce avvenne con l'introduzione dell'illuminazione a gas, dal 1822 presente all'Opera di Parigi dal 1850 presente in tutti i teatri d'Europa.
Ma una delle differenze principali fra le due forme di illuminazione constava nella capacità della lampada a gas di erogare luce ad intensità regolabile, costante e soprattutto a fiamma ferma.
Le scenografie concepite quindi come dipinti su superfici piane, poste dinnanzi alla lampada a gas risultarono squallidamente piatte, poiché la luce ondulante delle candele e delle lampade era in grado di creare coni d'ombra mutevoli sulle superfici sceniche invece la luce a gas, essendo fissa metteva in maggior risalto le pieghe dei telai che non il disegno al disopra.
Il gusto scenico mutò quindi verso una scenografia plastica, di camera, tridimensionale con la presenza in scena di oggetti veri e di uso comune.



Scena d'angolo: costruzione prospettica

La scena d'angolo dei Bibiena

Il teatro barocco mostrava dunque con orgoglio il suo valore di "illusione": in tale clima comincia ad affermarsi un nuovo tipo di scena grazie alla prospera attività della famiglia Bibiena, audaci propositori della "scena d'angolo", caratterizzata dalla posizione accidentale di ogni elemento rispetto al piano del boccascena.
Non è più la facciata di un edificio ad apparire in primo piano ma piuttosto un suo spigolo, dal quale dinamicamente si dipartono le rette verso punti di fuga diversi dall'unico centrale presente nella scenografia rinascimentale.
Lo spigolo respinge in tal modo lo sguardo dello spettatore, inducendolo a scivolare lungo le facciate laterali, liberandolo dalla necessità di collocarsi in posizione centrale per la migliore percezione dello spazio scenico.
Queste regole prospettiche, che si basavano sulla disposizione di due punti di fuga laterali esterni alla scena, permettevano di creare quindi un fondale impostato su linee prospettiche indipendenti da quelle della sala, senza che il palco fosse la continuazione ideale della platea, rendendo così lo sfondo più fruibile dalle diverse angolazioni e non solo dal punto di vista privilegiato.

La fama dei Bibiena e della scenografia italiana fu così vasta da varcare i confini nazionali, creando larghi consensi di pubblico, soprattutto in Francia.



Alessandro Sanquirico: bozzetto di scenografia

Alessandro Sanquirico

Ad Alessandro Sanquirico, il più famoso degli scenografi operanti alla Scala di Milano all'inizio del XIX secolo, si deve la scelta singolare di tenere in ombra gli elementi architettonici in primo piano, al fine di convogliare lo sguardo degli spettatori verso i luminosi scorci prospettici dei fondali riccamente dipinti, anticipando la radicale svolta operata in seguito dall'invenzione dell'illuminazione elettrica, che permise un veloce oscuramento della sala durante le rappresentazioni: il pubblico, totalmente immerso nel buio, poteva finalmente godere di una perfetta illusione, concentrando l'attenzione unicamente sulla scena.

La pressante ricerca di un perfetto realismo spinse gli scenografi ad adottare con sempre maggior frequenza scenari costituiti da elementi plastici, al fine di creare uno spazio nel quale gli attori potessero liberamente agire senza denunciare l'illusione prospettica in atto.
L'illuminazione elettrica, inoltre, poneva urgentemente la necessità di una maggiore accuratezza nella realizzazione dei fondali dipinti, fino ad allora fortemente suggestivi proprio perché lasciati nella penombra del palcoscenico barocco.



Sala del teatro wagneriano, senza palchi e con orchestra nascosta nel golfo mistico

La riforma wagneriana dell'edificio teatrale

Negli ultimi anni dell'Ottocento l'opera di Richard Wagner in Germania avvia una significativa riforma in ambito teatrale, globalmente rivolta all'intero edificio teatrale, nonché ai principi dell'allestimento scenico.
L'innovazione wagneriana consiste nella democratica unificazione del pubblico in un unico ordine di posti; in luogo della platea a forma di ferro di cavallo risorge il cuneo della cavea classica, coronato in sommità da una galleria, mentre lo sviluppo del palcoscenico prende il sopravvento a discapito dell'orchestra.

Il progetto di Wagner porta alle estreme conseguenze la contrapposizione tra sala e palcoscenico, aspirando alla possibilità di un pubblico unitario, interamente concentrato nella contemplazione dell'illusione scenica, per la quale risultò necessario l'occultamento dell'intero apparato tecnico; anche lo spazio dell'orchestra venne nascosto alla visione degli spettatori, creando la tipica struttura a fossa alla base del proscenio denominata golfo mistico.
Infine, per garantire la perfetta idealità del quadro visivo delle scene, fu necessario eliminare ogni elemento che potesse servire da riferimento metrico tra lo spazio della sala e quello del palco; la suggestione dello spettacolo doveva essere dunque composta da "quadri scenici" appartenenti a un mondo ideale.

La riforma wagneriana si pone in tal senso come termine del percorso di separazione e dualità spaziale tra la sala e la scena, percorso iniziato con la scenografia italiana del Rinascimento al fine di massimizzare l'effetto illusorio della scenografia che, come quadro a tre dimensioni, si disvela magicamente al pubblico solo al momento dell'apertura del sipario, nascondendo con accurata maestria l'insieme dei trucchi e degli artifici che concorrono alla formazione della voluta suggestione.



La luce nella costruzione della scena

La scenografia del XX secolo e contemporanea

La scenografia come arte autonoma

Il XIX secolo si conclude con l'inizio di una riflessione e di una sperimentazione nel campo del teatro, e in particolar modo della scenografia, concepita non più solo in una dimensione decorativa e illustrativa, ma costruendo lo spazio dell'azione come un'opera d'arte dotata di autonoma espressività attraverso forme, volumi, luci e colori.

Lo spazio della rappresentazione scenica diviene dunque un quadro a tre dimensioni che lo scenografo crea con la libertà compositiva di un pittore, potendo tuttavia disporre nel proprio linguaggio di volumi e masse plastiche da giustapporre sul palco, qualità cromatiche delle superfici e fasci di luce vera, vibrante, direzionabile, che diventano elemento drammatico e teatralizzante della rappresentazione.
La luce divenne un mezzo fondamentale per creare lo spazio e l'atmosfera ma soprattutto mezzo di espressione incomparabile, con il quale lo scenografo può far intendere una determinata interpretazione psicologica della scena in corso grazie alla direzione ed ai colori che essa poteva assumere.
Progressivamente l'illuminazione della scena diverrà l'elemento di massima suggestione psicologica.



Bozzetto scenografico di Gordon Craig

Ricostruzione della scena per Orphée et Eurydice di Gluck, da un disegno di Adolphe Appia, Hellereau, 1912;
(modello per la mostra SCENAMADRE realizzato dagli studenti della Scuola di Scenografia dell'Accademia di Belle Arti di Torino)


La rinascita della scena costruita e il ruolo della luce

Un notevole contributo al rilancio della scena costruita si ebbe grazie all'opera innovativa di Gordon Craig (1872-1966) e Adolphe Appia (1862-1928), entrambi determinati nel combattere gli eccessi del gusto realistico dell'epoca, la cui pretesa di una perfetta imitazione della natura finiva troppo spesso per sostituirsi all'arte.
Grande oppositore della scenografia dipinta, Craig caratterizzava i suoi allestimenti con il prepotente inserimento di elementi tridimensionali, massicce presenze simboliche costituite da forme solide elementari, tra le quali il movimento degli attori fosse plasticamente armonizzato.

L'opera dello svizzero Adolphe Appia parte dalle stesse tematiche di Gordon Craig, sottolineando con forza il ruolo fondamentale svolto dall'illuminazione, capace di sottolineare la volumetria delle masse con dosate proiezioni d'ombra.
Pura, astratta, simbolica, la luce si esprime nel rapporto con le ombre vere e mutevoli che delinea sui volumi di scena.
Appia ce lo ricorrendo alla seguente analogia: "... ciò che nella partitura è la musica, lo è la luce nel regno della rappresentazione: l'elemento espressivo in opposizione al segno che significa. La luce, come la musica esprime ciò che appartiene all'essenza intima di ogni visione...".
Teorie sceniche e avanzamento tecnologico mostrano sempre più una fertile interconnessione con il perfezionamento degli strumenti che consentono un impiego artistico della luce artificiale.



Bozzetti scenografici futuristi

Teatro futurista

La scena delle avanguardie artistiche

Il teatro del XX secolo nasce dunque dall'esigenza di individuare forme innovative di spettacolo, in una concezione globale che superi il limite del bello affidato al solo allestimento scenografico, per sperimentare nuove forme di scrittura dei testi e della messa in scena.
Un folto gruppo di artisti, quali Picasso, Braque, Depero e altri, portarono in teatro la ricerca anti-naturalistica delle avanguardie pittoriche, superando il gusto decorativo ottocentesco attraverso un'innovativa sintesi cromatica a tinte piatte, evocatrice di immagini e suggestioni piuttosto che descrittiva di eventi.
In ambito futurista si cercò la rottura definitiva con il passato sotto ogni aspetto, con la critica alla drammaturgia passata, al melodramma, al dramma borghese, al teatro classico.
In campo scenografico fu fondamentale l'esperienza di Enrico Prampolini (1894-1956), il quale propone l'abolizione della scena dipinta, ancora largamente usata in Italia, e la sostituzione della scenografia con un insieme di strutture tese alla generazione di emozioni violente e dirette e che abbia una costruzione che richieda una decodifica da parte del pubblico per potersi caricare di valore espressivo.
Egli eleva inoltre lo scenografo al rango di creatore e non di esecutore, quindi con facoltà espressive autonome da quelle del regista, tanto quanto il drammaturgo o il musicista; definisce la scenografia come una sintesi di "dinamismo, simultaneità e unità d'azione tra uomo ed ambiente" che si esprime attraverso i colori, della scena o delle luci, figure geometriche ed astrazione delle forme.



Palcoscenici contemporanei

Evoluzione del palcoscenico

D'improvviso anche lo spazio tradizionalmente definito palcoscenico sembrò non corrispondere più alle esigenze dei registi e degli sperimentatori più audaci.
Già da fine ottocento si sperimentarono, utilizzando la forza motrice dell'energia elettrica, palcoscenici doppi con scene tridimensionali preventivamente montate su un sistema di montacarichi, o palcoscenici girevoli, che erano in grado di ruotare piattaforme con scene diverse già montate. Nel 1927 Walter Gropius (1883-1969) propose in Germania l'idea di "Teatro Totale" come una struttura teatrale in cui il pubblico può disporsi anche a 360 gradi attorno al piano scenico.La scena delle avanguardie artistiche Si possono tendenzialmente considerare le scenografie del periodo come improntate verso una modernizzazione e rottura con il passato, soprattutto in merito all'utilizzo della luce e l'assenza dei teli di fondo a favore di una scenografia più spesso plastica e tridimensionale.
Sempre in termini generici si possono trovare due tendenze nelle modalità di progettazione scenografica:
- la scenografia di suggestione, la quale si avvale di colori ed effetti luminosi per esercitare un potere quasi ipnotico sull'inconscio dello spettatore creando un'atmosfera impossibile da contemplare con distacco;
- la scenografia neutra, la quale si compone di elementi molto semplici e poco suggestivi in modo da esercitare la minore coercizione possibile sulla fantasia dello spettatore e permettergli di dominare lucidamente tutto il processo narrativo.



Scenografia contemporanea con fondali riflettenti

La frammentazione del linguaggio scenografico e la scena digitale

Dopo Appia il mondo della scenografia ha intrapreso innumerevoli strade diverse alla ricerca di espressività e suggestioni sempre nuove in nome dell'ormai affermata libertà artistica; in un simile terreno di sperimentazione, frammentazione e velocità è venuto tuttavia a mancare il rapporto tra le esperienze realizzate e l'individuazione delle regole da esse dedotte ed acquisite e dunque la letteratura sulla scenografia ha smesso di seguirne le tappe, i risultati e i protagonisti.

Attualmente, il nuovo campo di ricerca è quello offerto dal disegno digitale, e più precisamente dalla creazione di uno spazio tridimensionale alternativo, quello virtuale, nel quale sia consentita la possibilità di azione, e reciproca interazione tra attori e pubblico; tuttavia, tra le tante teorie in campo, sono ancora poche le pratiche teatrali in grado di farci comprendere realmente le nuove possibilità della computer grafica in campo scenico.
Conseguenza dell'introduzione del digitale in ambito teatrale è la progressiva scomparsa dell'osservatore unico, e del sistema prospettico da quest'ultimo diretto; lo spazio "illimitato" a disposizione della modellazione 3D in ambiente digitale non richiede accorgimenti di natura prospettica al fine di creare l'illusione di una voluta profondità del palco.
In realtà, è possibile notare che non è più il palcoscenico il luogo delle scene, poiché tali spettacoli sono concepiti anche per luoghi alternativi dall'edificio teatrale.